Ad esempio un chirurgo ortopedico potrebbe pensare di sviluppare e produrre un innovativo sistema protesico, un analista di software un sistema antivirus per computer, un biologo una coltura di molecole per combattere una malattia, un commercialista un nuovo sistema di servizi alle imprese e così via. Cosa fare perché l’idea non rimanga un sogno nel cassetto?
Come noto le idee da sole non bastano. Occorre avere la mentalità imprenditoriale per pianificare e implementare un progetto, un rischio d'impresa. La mentalità come risktaker, quindi essere disponibili a perdere tempo e quattrini è il primo requisito. Ma non basta: occorre saper identificare le risorse e le competenze utili, saper gestire un team di lavoro. Pochissime persone riescono ad avere successo in entrambi i ruoli, come professionista e come imprenditore. Perché?
Molti dicono di non avere tempo per sviluppare le loro idee, ma in realtà ci sono problematiche più profonde da analizzare prima di buttarsi in un’avventura aziendale.
Il professionista ha in genere un obbiettivo di natura differente da quello dell’imprenditore e quindi sviluppa una mentalità diversa.
In tal senso il professionista tende ad essere flessibile e disponibile per risolvere i problemi dei clienti inerenti alla sua specializzazione, concentrandosi ad ampliare qualità, varietà e completezza dei servizi offerti nell’ambito della sua specializzazione. Per offrire un ventaglio di servizi il più ampio possibile egli spesso decide di associarsi ad altri professionisti complementari.
Ad esempio studi medici offrono tanti specialisti differenti, dal cardiologo all’ortopedico, notai si associano ad avvocati e commercialisti, architetti ad ingegneri e geometri.
Dal punto di vista imprenditoriale, questa attitudine di totale soddisfazione del cliente può paradossalmente portare a disperdere le proprie attenzioni in tante, troppe, potenziali attività imprenditoriali aumentando il rischio di non renderne concreta nessuna.
E' noto infatti che la tipica mentalità di un imprenditore di successo è tesa a sviluppare un’attenzione pressoché esclusiva alla propria impresa. Tutto ruota intorno a ciò che serve per la sopravvivenza e lo sviluppo della propria idea imprenditoriale, del prodotto o servizio che si vuole offrire, offrendo uno o più vantaggi competitivi percepiti rispetto ai concorrenti. L’imprenditore mira a mettere a punto il suo modello di business, in sostanza a fare una cosa sola meglio di tutti gli altri, salvo in futuro aggiungerne una seconda e così via. Ecco perché imprenditori di successo come ad esempio Bernardo Caprotti, un genio imprenditoriale, creatore del ben noto impero di 140 punti vendita Esselunga a distribuzione centralizzata, pur avendo raggiunto il successo, hanno sempre continuato a controllare ogni singolo dettaglio per assicurare la sostenibilità sul mercato della propria azienda, mantenendola competitiva e vincente.
Metaforicamente l’attenzione del professionista è come la luce di una candela che si diffonde a 360 gradi, mentre quella dell’imprenditore è una luce laser, fatta di fasci paralleli che tuttavia possono bucare qualsiasi barriera, proprio perché concentrati.
Alcuni professionisti, forse i più caparbi, vanno comunque avanti, e trasformano le proprie idee in un progetto imprenditoriale, accettando il rischio di impresa, spesso insieme ai colleghi. Nella fase di implementazione dei progetti, tuttavia, si notano anche altre dimensioni divergenti tra la figura del professionista e quella dell’imprenditore. Queste possono rappresentare altri scogli per il professionista aspirante imprenditore. Ne cito due: il bilancio delle competenze e la gestione del personale.
I professionisti tendono a pensare che la loro capacità, temprata dalle dure prove accademiche prima e professionali poi, non sia in discussione, per cui sono portati a ritenere che le competenze acquisite nella professione siano più che sufficienti a sviluppare un’impresa. Nessun errore può essere più fatale di questo.
Un attento bilancio delle competenze, nel breve e nel medio termine, può risultare davvero importante. La necessità di inserire competenze di terzi, da acquisire all'esterno, può manifestarsi al professionista come una soluzione tardiva e di ripiego, realizzabile con risorse inadeguate, perché non pianificate, che rischiano di non risolvere il problema, aumentando nello stesso tempo la complessità di gestione.
Un valido business plan prevede la pianificazione delle competenze utili a realizzare l’impresa e l’acquisizione esterna, se necessario, delle capacità mancanti, coinvolgendo altri professionisti a supporto, pianificandone l’investimento.
La gestione del personale rappresenta un altro elemento critico. Essa è intesa come capacità del leader di coinvolgere e motivare i propri collaboratori. Occorre conquistare la loro testa ed il loro cuore, nel senso che essi credano e condividano gli stessi valori aziendali, se si vuole ottenere un contributo efficace che vada al di là di quanto previsto contrattualmente.
Anche su questa dimensione il professionista-imprenditore può non essere a suo agio. Nella sua professione, egli può godere di un potere conseguente alla sua conoscenza, rispettato dai collaboratori che non hanno la sua stessa esperienza e che non hanno dimostrato a se stessi e agli altri l’autonomia e la capacità di saper affrontare le problematiche afferenti alla professione.
Anche su questa dimensione il professionista-imprenditore può non essere a suo agio. Nella sua professione, egli può godere di un potere conseguente alla sua conoscenza, rispettato dai collaboratori che non hanno la sua stessa esperienza e che non hanno dimostrato a se stessi e agli altri l’autonomia e la capacità di saper affrontare le problematiche afferenti alla professione.
In azienda per avere lo stesso rispetto, essi devono dedicare tempo di qualità con i loro collaboratori per creare un rapporto di reciproca stima e fiducia, sapendo comunicare loro e condividere gli obbiettivi prefissati, verificando che essi siano animati dalle stesse motivazioni e che credano alla fattibilità ed al successo dell’impresa. Un team infedele, poco coeso, svogliato, senza adeguata leadership presenta costi nascosti e rischi aggiuntivi che possono anche mettere in discussione la sopravvivenza stessa dell’impresa.
In realtà ci sono molte altre variabili in gioco per trasformare un’idea in un’azienda di successo, ma qui ho voluto presentare solo alcune riflessioni personali per dare un piccolo contributo a tutti coloro, professionisti inclusi, che desiderano sviluppare un'impresa, prima che ottime idee si trasformino in attività imprenditoriali fallimentari. Sviluppare un'impresa è una delle cose più appaganti della vita, in quanto si cresce un'attività che offre valore aggiunto ai clienti, realizzando un profitto e dando lavoro a tante persone e alle loro famiglie. Per scongiurare il fallimento, consiglio di coinvolgere per tempo un consulente o un manager-imprenditore terzo, che possa coadiuvare l'aspirante imprenditore a mettere a punto un esame di fattibilità e un solido business plan.