martedì 31 dicembre 2013

Liberalismo in Italia?

Liberalizzazioni, privatizzazioni e concorrenza sono parole assai ricorrenti quando si tratta di esporre ricette per invertire il declino economico, politico e sociale dell'Italia (nota 1).

Per liberalizzazioni si intende la possibilità di rimuovere le barriere fiscali e normative di ingresso ai mercati affinché altre aziende possano accedervi; quindi si riconosce che esse costituiscano lo strumento principe per creare concorrenza, madre dell'innovazione, e per creare opportunità di crescita ed efficienza. A questo punto torna utile ricordare che la filosofia che sottende al liberalismo è basata principalmente sul rispetto della dignità e libertà dell’individuo, limitando la presenza e l’ingerenza dello Stato, assecondando l'inclinazione ad assumere il rischio di investire su nuove imprese e favorendo così quell'innovazione tanto "reclamata" che deve caratterizzare una società libera.

Perfino la solidarietà non deve ridursi a misure statali di poco conto difronte a cittadini completamente de-responsabilizzati e disinformati. Si dovrebbero invece creare le condizioni affinché essa possa crescere attraverso interventi dei cittadini, a patto che il loro impegno solidale goda di un regime fiscale adeguato e di importanti semplificazioni normative.

Tali principi, sopra riportati in estrema sintesi, sono mutuati dall’esponente italiano più coerente e originale del liberalismo classico, Bruno Leoni (nota 2) (1913-1967) e dall’Istituto Bruno Leoni (in seguito IBL) dedicato appunto alle analisi e agli studi di questo importante personaggio e del liberalismo.

Poiché lo Stato ingerente è un ostacolo allo sviluppo del nostro paese, ogni anno IBL presenta un indice aggiornato delle liberalizzazioni su elettricità, gas, servizi idrici, telecomunicazioni, ferrovie, trasporto aereo, trasporto pubblico locale, infrastrutture autostradali, servizi postali, televisioni, servizi finanziari, ordini professionali, mercato dell’arte, mercato del lavoro, fisco e pubblica amministrazione. Si tratta di sedici settori, indicizzati da IBL, il cui grado di apertura è confrontato annualmente con il paese europeo che, in quel settore, è il più liberalizzato. 
Il 5 dicembre scorso IBL (nota 3) ha confrontato 15 paesi della vecchia europa: il più liberalizzato risulta la Gran Bretagna, mentre il meno liberalizzato l’Italia. Per quest’ultima i settori meno liberalizzati sono in ordine le TV, le poste, i carburanti, il lavoro, le telecomunicazioni, l’elettricità ed i treni.

In Italia il debito pubblico continua a crescere considerevolmente, come testimoniano gli aggiornamenti della Banca d’Italia, in conseguenza dell’incapacità dello Stato di tenere sotto controllo la spesa pubblica.

Recentemente la Camera ha approvato il disegno di legge sull’abolizione delle province con l’intento di ridurre il costo annuale che, per l’Istituto Bruno Leoni potrebbe essere potenzialmente superiore al miliardo di euro (nota 4). Già fin d’ora, c’è chi ipotizza invece che tale riforma è fatta in modo tale che non solo non ci sarà alcun risparmio, ma che il costo complessivo aumenterà in conseguenza della creazione di istituti succedanei come ad esempio le città metropolitane e la parcellizzazione, non cancellazione, di alcune funzioni provinciali ai Comuni. 

Lo scorso 16 dicembre, a Roma, Luigi Angeletti, Segretario Nazionale UIL (nota 5), e Guglielmo Loy, Segretario Confederale UIL che si occupa di federalismo, mezzogiorno e politiche regionali, hanno presentato lo studio aggiornato sui costi della politica che sono aumentati a 23 miliardi di euro l’anno, pari a €757 per contribuente (nota 6). Oltre un milione di persone vivono solo di politica, quasi il 5% della forza lavoro, pari all’1,5% del nostro PIL, ha affermato Angeletti, aggiungendo che potremmo risparmiare 7 miliardi di euro all’anno, migliorando nel contempo l’efficienza delle nostre istituzioni democratiche. 

Lento al cambiamento, il nostro paese non tiene il passo con gli altri paesi. Esso presenta antiche rendite di posizione che drenano risorse utili allo sviluppo, una burocrazia penalizzante sostenuta dall’interesse particolare di tanti personaggi trasformati in piccoli centri di potere, un sistema fiscale oneroso e iniquo al punto di diventare pericolosamente insostenibile, un costo del lavoro altissimo ancorato a diritti dei lavoratori ingiustificati, un sistema giudiziario lentissimo ed inefficiente, quindi inefficace, sanzionato più volte da organismi europei e criticato da leader politici italiani e da imprenditori di primo piano. 
Anche l’Europa non aiuta, perché in realtà spesso sovrappone ulteriori onerose normative, invece di esportare le best-practices di ciascun paese nelle altre economie, metodo virtuoso per unificare l’Europa.

In sostanza il corpulento ed ingerente Stato italiano sembra che non possa essere ridimensionato,  esso controlla imprese in tanti mercati strategici, riducendo la libertà di scelta dei cittadini, ipotecando gli investimenti utili al futuro nostro e delle generazioni a seguire.   La disoccupazione, la giustizia, le tasse, la burocrazia, l’istruzione, la mala-sanità, le privatizzazioni, i costi dello stato e della politica sono solo alcune orrende maschere della giostra dei problemi irrisolti dell’Italia, pretesti ai quali si ispirano i politici per intrecciare e disfare all’infinito le loro seducenti periodiche promesse elettorali. Il liberalismo non è né di destra né di sinistra, come non lo sono l’ignoranza, la malafede e l’ignavia della nostra classe politica delle ultime decadi.

Il risultato è oramai quello di un paese fortemente indebitato, instabile politicamente, con tensioni sociali in ascesa e territorio sempre meno fertile per lo sviluppo delle imprese, risultando poco attraente per gli imprenditori e gli investitori, italiani e stranieri.

Oggi per conquistare i grandi mercati come la Cina, l’India, gli Stati Uniti d’America e investire per tempo nei mercati emergenti dell’Africa, del Sud America, dell’Asia, occorrono gruppi importanti, ben gestiti e lungimiranti. Invece le imprese italiane, pubbliche e private, sono poco abituate a competere, avendo per anni lavorato in mercati monopolistici o oligopolistici, ed essendo mediamente poco internazionalizzate. Esse presentano una classe imprenditoriale e dirigente in età avanzata, auto-referenziata e poco brillante, che non conosce i mercati internazionali. 

Esistono ovviamente note eccezioni, imprenditori e manager italiani illuminati che hanno creato gruppi multinazionali di successo, centri di eccellenza, ma purtroppo sono in numero esiguo che non fa sistema. Spesso le aziende italiane di successo falliscono o vengono assorbite da gruppi internazionali alla morte dell’imprenditore, incapace di crescere un management alla sua altezza. I gruppi multinazionali italiani in buona salute, in espansione e sostenibili da un buon management sono in numero davvero esiguo, non confrontabile con l’Europa del nord. Inoltre molti che fanno impresa o che vorrebbero sviluppare un’impresa in Italia sanno che sarebbe opportuno e logico lasciare il nostro Paese, se vogliono evitare i problemi più o meno noti che il rimanere comporta. Pochissimi sono gli “eroi” che continuano a investire in Italia. 

Ma l’Italia è un paese che può recuperare il terreno perso ed interrompere il declino economico e sociale a cui stiamo assistendo? Come possono le nostre imprese affermarsi in Europa e nel mondo se l’Italia è ultima nelle liberalizzazioni?

Per uscire da questa impasse, questo blog vuole offrire un piccolo contributo a supporto delle persone che sentono ancora il desiderio di fare impresa con passione, dedizione, voglia di fare, per soddisfare i propri bisogni e quelli della comunità, dando una speranza alle future generazioni.  
fareimpresadivertendosi.com desidera quindi porsi come una provocazione costruttiva, culturale e sociale, un punto di incontro utile a diffondere i principi del liberalismo e sviluppare un dibattito allargato e partecipativo, sottoponendo all’attenzione dei cittadini una riflessione sui cambiamenti necessari per rendere il paese fertile alla proliferazione e crescita di nuove imprese e dell’occupazione di tutte le fasce di età.

FARE IMPRESA DIVERTENDOSI può diventare una realtà per ciascuno di noi, non è una chimera … perfino in Italia! 

Note: 
1)  l’Italia è prevista a lungo Per termine una crescita più lenta rispetto a quella degli altri Paesi (fonte: Centre for Economics and Business Research, 26/12/2013)
3) Fonte: Istituto Bruno Leoni – via Bossi 1 – 10144 Torino – Italia T: +39 (011) 070 2087 – F: +39 (011) 437 1384 – info@brunoleoni.it – www.brunoleoni.it.
5) UIL è l’Unione Italiana del Lavoro - il sindacato dei cittadini www.uil.it 
6)  Fonte agenzia Ansa

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